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Scrivere di screening

Marco Petrella - coordinatore Gruppo interscreening sulla comunicazione dell'Osservatorio nazionale screening

Quando andai in America a trovare il mio amico Mike lessi su un giornale la pubblicità della migliore fabbrica al mondo di selle americane. La cosa mi colpì, ma poi scoprii altre chicche del genere: tipo campionati di qualcosa che si fa solo in America e che loro chiamano campionati mondiali. Come se la corsa dei Ceri di Gubbio in onore di Sant'Ubaldo si auto proclamasse campionato mondiale di corsa dei Ceri.

La preparatissima giornalista del NYT sviluppa tutto il suo articolo in questa ottica tutta americana. Lo screening del tumore della mammella è solo quello di cui lei ha sentito parlare nell'ambito delle iniziative del Nastro Rosa (The Pink Ribbon). Una realtà tutta fatta di raccolta fondi, sponsorizzazioni, fanatismo, appello al "tu puoi fare la differenza", mito dei sopravvissuti contrapposti ai perdenti, etc. etc.. In questo contesto di test proposti alle bambine, di esami annuali, di promesse di vittoria, di ottimismo portato oltre i limiti dell'onestà, ecco che piombano alcune smentite: dalla realtà (c'è qualcuna che è pur essendo stata bravissima non ce la fa) e dalle ricerche scientifiche, che anche nelle versioni più favorevoli allo screening non possono che apparire critiche e fonte di amara disillusione a chi è stato allevato al dogmatismo della prevenzione salvifica.

A me non sembra, infatti, che lei prenda mai in considerazione, nei suoi esempi, versioni più accorte della proposta di screening, quali quelle che sono state praticate in gran parte dell'Europa. Invece, bene avrebbe fatto a dare un’occhiata oltre oceano. Negli stessi anni noi contestavamo i protocolli americani , che alcuni consideravano per definizione migliori dei nostri, accusati di essere colpevolmente pauperistici mentre erano solo evidence based. E restavamo fermamente critici verso le annuali campagne “Nastro Rosa”, quando si ostinavano a proporre esami alle più giovani. E, infine, in quegli stessi anni, gli screening organizzati italiani facevano della trasparenza sui limiti e sulle incertezze l’obiettivo principale del loro impegno comunicativo.

Quindi: assolutamente legittima la rabbia della giornalista americana, ma solo perché fa riferimento ad uno specifico contesto e del tutto fuori strada quando conclude sul costo pagato dalle donne a maggior rischio, affermazione che lascia spazio alla illusione che interventi mirati siano l’alternativa giusta allo screening di popolazione.