Indicatori di performance dei programmi di screening mammografico

Lo screening mammografico per il cancro al seno è un intervento di comprovata efficacia. L’Osservatorio nazionale screening (Ons), tra le principali attività e competenze, è impegnato anche nel monitoraggio e valutazione della qualità dei programmi di screening organizzato attivati a livello regionale. Francesca Battisti, dirigente medico presso la Struttura complessa Screening e prevenzione secondaria dell’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (Ispro), ci descrive il disegno e l’obiettivo principale dello studio Key performance indicators of breast cancer screening programmes in Italy, 2011-2019, pubblicato negli Annali dell’Istituto superiore di sanità. L'indagine analizza i principali indicatori di performance dei programmi di screening mammografico organizzato in Italia, in una finestra temporale che va dal 2011 al 2019. A completamento dell’intervista, segue un commento e una riflessione di Lauro Bucchi, epidemiologo del Registro tumori della Regione Emilia-Romagna Irst-Irccs, sui risultati dello studio e le prospettive future dei programmi di screening mammografico.

   1. Qual è stato l’obiettivo principale dell’indagine?
L’obiettivo principale di questo studio è stato di presentare gli indicatori chiave di performance dei programmi di screening mammografico organizzato in Italia, in un periodo temporale che va dal 2011 al 2019. L’indagine è stata svolta dall’Ons, in sinergia con il Gisma (Gruppo italiano per lo screening mammografico), nell’ottica della mission dell’Ons, strumento tecnico a supporto del Ministero e delle Regioni per la definizione di linee di indirizzo in ambito di screening oncologici, per il monitoraggio e le valutazioni di impatto dei programmi di screening, per il miglioramento continuo della qualità e per la formazione specifica.
Lo studio, attraverso la valutazione di una serie di indicatori, intende fornire un’occasione di riflessione per il miglioramento continuo delle performance dei programmi di screening mammografico, ponendosi in continuità con una precedente indagine dell'Ons e del Gisma che è stata pubblicata nel 2015 e che si riferiva alla serie temporale 2006-2011 (Breast cancer screening in Italy: evaluating key performance indicators for time trends and activity volumes di Giordano L, Castagno R, Giorgi D, et al.).
Una lettura congiunta di questi due lavori offre una finestra di osservazione abbastanza ampia sui programmi di screening mammografico organizzato, che proprio negli anni considerati hanno avuto una forte implementazione nel territorio nazionale, anche se in modo non sempre omogeneo.

   2. Quali indicatori sono stati analizzati?
La metodologia utilizzata è sovrapponibile a quella dello studio precedente con alcune modifiche, la prima delle quali è avere pubblicato i dati con una granularità più fine, non solo a livello di nazione e macroarea geografica (Nord, Centro, Sud e Isole) ma anche a livello di Regione. Questo aspetto ha permesso di offrire uno strumento di riflessione e un'occasione di approfondimento sui punti di forza e le eventuali criticità a stakeholder di vario livello, dal decisore nazionale ai coordinamenti regionali, autorità regionali, referenti dei programmi di screening, associazioni di cittadini e a tutti coloro che a vario titolo possono essere interessati a ad avere informazioni sull'andamento dei programmi di screening. Lo studio si è basato su una raccolta annuale dei principali indicatori dei programmi di screening mammografico attraverso un format standardizzato di raccolta informativa da parte di oltre 150 programmi di screening attivi sul territorio nazionale. Questi dati vengono annualmente conferiti e valutati, sottoposti a un controllo logico e formale e infine sono inseriti nel database gestito dall'Ispro. I dati sono aggregati e si riferiscono alla fascia di età 50-69 anni e gli indicatori esaminati sono quelli che sono stati proposti dal Gisma a livello nazionale nell'ambito dei controlli di performance degli screening, cioè indicatori di tipo strutturale, logistico-organizzativo-funzionale, di processo clinico-diagnostico e precoci di impatto. In questa indagine sono presentati i seguenti indicatori: l'estensione aggiustata cioè la capacità dei programmi di raggiungere tutta la popolazione target avente diritto, la copertura degli inviti cioè la proporzione dei soggetti che fanno il test rispetto alla popolazione target, l'adesione ai programmi di screening che è un fattore determinante rispetto all'efficacia su scala di popolazione del programma, in quanto una bassa adesione vanifica tutto lo sforzo organizzativo della macchina dello screening, il recall rate cioè il tasso di richiamo che rappresenta la proporzione di soggetti richiamati per approfondimenti rispetto ai soggetti screenati,indicatore della specificità del programma e la detection rate cioè il numero di lesioni maligne diagnosticate su 1000 donne screenate e che rappresenta un indicatore della sensibilità del programma. Infine, il  valore predittivo positivo cioè la proporzione di soggetti con diagnosi effettiva di lesione rispetto ai test positivi.
È da sottolineare che la macroarea Sud-Isole non è completa perché ci sono tre regioni che per motivi metodologici si sono dovute escludere dall’analisi. Questo è forse un primo elemento di riflessione rispetto alla necessità del tempestivo e completo conferimento dei dati da parte di tutte le Regioni.
Questi indicatori sono analoghi a quelli del lavoro precedente e sono presentati sia a livello nazionale, sia per macroarea geografica sia per regione e per classi d'età quinquennale, interessando la fascia inclusa nei Lea cioè la popolazione 50-69 anni. Inoltre, rispetto allo studio precedente, oltre al dato presentato per regione, è stata eseguita anche una valutazione della modifica del cambiamento medio annuale percentuale per capire se il dato di trend presenta un andamento in diminuzione, stabile o in aumento e se è una variazione che raggiunge una significatività statistica. Infine, abbiamo inserito un diagramma di sintesi proposto da Blanks nel 2000 di semplice interpretazione che presenta in un grafico cartesiano i due principali parametri di performance: il valore predittivo positivo (VPP) in ascissa, il recall rate (RR) in ordinata e la detection rate (DR) su un’isobara. Questa modalità sintetica di visualizzazione di un piccolo set degli indicatori principali fornisce uno spaccato importante rispetto alle performance dei programmi di screening attraverso cui ogni Regione può verificare dove si colloca in termini riassuntivi di performance rispetto al dato nazionale e seguire l’evoluzione nel corso del tempo (Fig. 1).

   3. Potrebbe descriverci i risultati finali?
Innanzitutto, vorrei precisare che un'analisi dei dati di performance rappresenta sempre una sintesi di fenomeni reali molto più complessi, attraverso indicatori che sono però quantificabili e misurabili. Nel nostro studio analizziamo un dato nazionale, cioè i programmi di screening oncologici, su un’estensione geografica molto ampia e quindi quello che emerge è una situazione fortemente disomogenea e differenziata sul territorio nazionale.
In un’indagine di questo tipo vanno valutati i punti di forza e quelli di debolezza. Uno degli aspetti più positivi e migliorativi che si possono osservare è che nel periodo di osservazione c’è stato un aumento dell’estensione e quindi dell’effettiva capacità dei programmi di screening di raggiungere la popolazione target con un'estensione a livello nazionale che è passata dal 73,5% a quasi il 90%, con un aumento annuale medio significativo di quasi il 3%. Questo aumento è stato significativo in tutte le macroaree geografiche ma soprattutto nel Sud e nelle isole, in cui i programmi di screening non erano stati adeguatamente implementati all’inizio del periodo di osservazione. Al Nord ovviamente l’aumento è risultato molto più esiguo numericamente poiché partiva da un’estensione già del 92% nel 2011, con dei margini di miglioramento inferiori ma è stata comunque raggiunta la significatività statistica; alCentro del 2% e nel Sud e Isoleaddirittura del 6,8% annuo di incremento significativo. I dati di alcune Regioni mostrano un ottimo sviluppo dello screening, come la Campania che è partita dal 40% di estensione e ha raggiunto nell'ultimo anno il 70% con un 9% annuo di aumento e la Sicilia che dal 44% con un aumento annuo dell’8,5% è arrivata al 92%. C'è stato quindi un aumento relativo della copertura e un andamento relativamente stabile con una lieve tendenza alla flessione della partecipazione ai programmi. Durante questa finestra temporale che termina nel 2019, cioè nell’anno precedente all'emergenza pandemica che come sappiamo ha condizionato notevolmente la capacità di funzionamento dei programmi di screening organizzato, si era già osservata una partecipazione che diminuiva dello 0,7% annuo, una flessione molto bassa ma che a livello nazionale iniziava a essere rilevabile. È da considerare però che nelle regioni in cui sono stati avviati dei nuovi programmi di screening può verificarsi che a un importante aumento dell’estensione possa non corrispondere un eguale aumento dell’adesione e che in proporzione l'adesione possa addirittura risultare ridotta. Questo dato non è valido per tutte le Regioni, infatti, alcune hanno mostrato degli aumenti come l’Abruzzo e il Friuli Venezia Giulia. Per sintetizzare, il dato della partecipazione aggiustata in alcune Regioni, specialmente del centro-nord, può risultare disomogeneo rispetto al dato nazionale della partecipazione allo screening mammografico che nell'ultimo anno di rilevazione era del 57,9%. Infatti, andando ad analizzarlo per macroaree il valore assoluto della partecipazione è molto diverso, nella macroarea del Nord è quasi del 70%, che corrisponde al valore desiderabile di partecipazione, ma addirittura tante regioni lo superano come Val d’Aosta, Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria. Al contrario, ci sono altre regioni che sono sotto il valore ritenuto accettabile come il Lazio, il Molise, la Campania, la Calabria, Sicilia e la Sardegna.
Il dato di sintesi di un’area così grande quindi va analizzato sempre anche a un livello più fine per capire le differenze rispetto all'andamento generale. In questo lavoro sono emerse anchedelle criticità, come un aumento abbastanza diffuso sul territorio nazionale del recall rate, rilevabile anche agli screening successivi al primo (anche se di entità in tal caso modesta) ma molto evidente al primo screening . A livello nazionale il tasso di richiamo al primo screening era dell’8,66% nel 2011 fino ad arrivare a 12,12% nel 2019, che corrisponde ad un aumento significativo di quasi il 4% annuo.
A livello di macroaree geografiche l’aumento del recall rate è risultato molto marcato al Centro, intorno al 6% annuo con valori nel 2019 superiori al 15%. Questo dato si ripropone significativo e alto su tutte le fasce d'età per il primo screening. In alcune regioni c’è stato un aumento annuale, come nel Piemonte ed Emilia Romagna rispettivamente del 5,9% e del 6,8%, ma anche in altre regioni sono stati riscontrati aumenti rilevanti sia al centro come nel Lazio sia al Sud come in Campania, e infine nel 2019 in quattro regioni è risultato superiore al 15% e in una regione addirittura al 20%.
Inoltre, se si leggono congiuntamente i dati della nostra indagine con quelli della precedente, che è iniziata nel 2006, si nota che in questo lungo trend temporale di quattordici anni l'aumento complessivo del recall rate al primo screening a livello nazionale è stato di oltre il 50% (nel 2006 era del 7,6% al primo screening e nel 2019 è arrivato al 12%). Questo aumento non si è rilevato nelle due province autonome di Trento e Bolzano, che hanno mostrato buoni valori di performance.
In generale, l’aumento del tasso di richiamo è un elemento di riflessione su una possibile erosione delle performance che potrebbe anche comportare degli importanti sovraccarichi organizzativi e una difficoltà contingente nella capacità erogativa dei programmi di screening, soprattutto per garantire la tempestività dei secondi livelli, oltre a generare ansia e preoccupazione nelle utenti per eventuali biopsie o altri accertamenti non necessari. Ovviamente, la finalità dello screening è di avere un'alta sensibilità a livello di popolazione cercando nel contempo di avere la specificità più alta possibile, ma bisogna comunque limitare al massimo l’erogazione di prestazioni non necessarie, innanzitutto per la tutela delle donne ma anche per l’intrinsecofunzionamento  del programma stesso. Per quanto riguarda la detection rate, rimane piuttosto stabile tra il 5-6 per mille nell'area del Nord, circa 5 per mille nel Centro e tra il 3-5 per mille nel Sud e tende naturalmente ad aumentare con l’età.Va in peggioramento il valore predittivo positivo che a livello nazionale diminuisce in modo significativo per il primo screening del 3,4% all'anno, soprattutto nella macroarea del Sud e Isole.
In sintesi, c'è una diminuzione generalizzata del valore predittivo positivo ma anche in questo caso non è sempre così ovunque, per esempio in Veneto questo parametro aumenta in modo significativo. Da queste considerazioni, si evince la necessità di considerare e analizzare correttamente la complessità di un dato eterogeneo.

   4. Quali sono stati i punti di forza e le criticità di questo studio?
Dallo studio condotto, come già anticipato, sono emersi elementi positivi e migliorativi e aspetti più critici che suggeriscono l'importanza di prestare attenzione a fattori fondamentali come la performance, la formazione e i controlli di qualità all'interno dei programmi di screening. Per quanto riguarda l'estensione, si è osservato un ottimo andamento ma persistono disuguaglianze a livello nazionale, infatti se nel centro-nord tutte le persone aventi diritto fondamentalmente ricevono l’invito o quasi, nel sud nonostante l’enorme miglioramento e uno sviluppo importante dello screening solo 2 persone su 3 ricevono l’invito. Il periodo di osservazione si ferma al 2019 e quindi sarà importante aggiornare i dati su una serie temporale più lunga che comprenda anche la fase pandemica e post-pandemica, alla luce delle criticità verificatesi, anche se i programmi di screening hanno mostrato una buona resilienza e c'è stato un grosso sforzo nel recupero. Relativamente alla partecipazione, i dati di questa indagine si riferiscono allo screening organizzato, ma ne esiste anche uno opportunistico di difficile quantificazione. Dalla survey di Passi è emerso che in alcune aree lo screening spontaneo rappresenta una componente importante.
Ci terrei inoltre a condividere una riflessione sul tema della fiducia dei cittadini nei confronti del Servizio sanitario nazionale che sarà un aspetto rilevante soprattutto dopo l’emergenza pandemica. La partecipazione agli screening è determinata da numerosissimi fattori; molti studi ne hanno esplorato i determinanti e sicuramente il gradiente socioeconomico è uno di quelli principali e quindi è fondamentale concentrare l’attenzione sul contrasto alle disuguaglianze e sul tema dell'equità che è  al centro di molti documenti di indirizzo a livello nazionale e internazionale, come le ultime raccomandazioni del Consiglio europeo sugli screening oncologici. In questo senso, anche una performance efficiente può a sua volta fidelizzare le utenti e promuovere la partecipazione di vari gruppi di popolazione.
Inoltre, in riferimento a quanto riportato sull'erosione delle performance, l’aumento del recall rate al primo screening con conseguente sovraccarico dei servizi di radiologia e di stress nelle donne coinvolte, può avere diversi motivi: la mancanza di un esame precedente di confronto, un’attività non dedicata allo screening da parte dei radiologi coinvolti, inadeguati volumi di attività, un ricorso alla medicina difensiva etc, criticità che una buona spinta sulla formazione specifica di queste figure professionali potrebbe risolvere o attenuare. Complessivamente in alcune aree geografiche ci sono stati comunque degli indicatori in miglioramento come nelle Province Autonome e sono risultati stabili gli andamenti in altre regioni del Centro-Nord, mentre in alcune regioni del Centro-Sud è stato rilevato un progressivo peggioramento di tutti gli indicatori, e per altre regioni non è stato possibile fare un'analisi approfondita per difficoltà di reperimento dei dati.
A tal proposito, nel Piano nazionale di prevenzione si indica il rafforzamento dei coordinamenti regionali dei programmi di screening come azione necessaria ad un maggior commitment regionale sullo screening.
Concludo ricordando che il senso di questo lavoro non è la produzione di un ranking né un giudizio nel merito ma il mettere a disposizione un input migliorativo, proprio perché il monitoraggio dei programmi di screening ha valore solo se ne scaturisce una riflessione su quello che si è fatto, su dove ci si colloca anche rispetto agli altri e su dove si può pensare di arrivare.
La finalità di questo lavoro quindi è mettere a disposizione di tutti gli stakeholder coinvolti (decisori, operatori, cittadini...) un documento in grado di orientare e suggerire azioni di miglioramento. Colgo l’occasione per ringraziare tutti gli autori che hanno reso possibile questo approfondimento e i coordinamenti regionali di screening per aver conferito i dati nel corso degli anni.

Di seguito, un intervento di commento di Lauro Bucchi sullo studio oggetto di questa intervista.
Innanzitutto, vorrei dire che questo studio è veramente importante. È ben disegnato e offre una panoramica molto suggestiva di questo decennio trascorso e delle prospettive che avremo nell’immediato futuro, al di là del fatto che la pandemia può avere sconvolto questo scenario. Una cosa molto positiva è che, in questo lavoro, l’unità di analisi torna a essere la Regione e, considerando che i programmi di screening sono almeno nominalmente regionali, non c'è dubbio che queste informazioni creino un ritorno di esperienza, cioè un feedback per chi deve gestire e organizzare lo screening a livello locale. Un’indagine di questo tipo può indicare ai referenti regionali in quale posizione si situano e suggerire quali decisioni e azioni adottare per migliorare.
Per quanto riguarda gli indicatori, è stata fatta una scelta molto precisa, cioè limitare l'analisi a sei indicatori e non ai molti altri che si sarebbero potuti includere usando i dati raccolti dall'Ons. In particolare, sono stati scelti tre indicatori di primo livello, invito e partecipazione, e tre indicatori diagnostici. Dai primi, cioè gli indicatori di invito e partecipazione, è possibile senz’altro trarre delle informazioni positive. I risultati emersi dall’indagine mostrano che la popolazione del Centro-Nord, riguardo al tasso di copertura dello screening mammografico, è stata saturata. Questo significa che qualunque tipo di miglioramento non potrà più derivare da un aumento dell’estensione della copertura, ma solo da un miglioramento della proporzione di residenti che hanno eseguito una mammografia regolare, cioè da un aumento del tasso di partecipazione delle donne invitate. Questa variabile, purtroppo, non è sotto il controllo diretto dei centri di screening, che possono incidere solo sugli inviti ma non sulla risposta. In futuro, solo il Sud potrà migliorare la situazione nazionale in modo sostanziale. Nel Sud, è necessario senz’altro continuare ad aumentare la copertura, cioè la proporzione di donne eleggibili invitate alla mammografia, ma anche la risposta delle donne agli inviti, che è molto più bassa rispetto a quella del Nord e anche a quella del Centro. In sintesi, al Nord si può eventualmente tentare di migliorare la risposta delle donne agli inviti, mentre al Sud si deve necessariamente migliorare la risposta delle donne agli inviti ma anche la proporzione di donne invitate. Questi dati quindi indicano che la priorità per i programmi di screening è sicuramente il Sud.
Per quello che riguarda la seconda parte dello studio, cioè gli indicatori di tipo diagnostico, i primi inviti sono stati segnati da un recall rate più alto che in passato mentre lo stesso non è accaduto agli inviti successivi. Questo fa pensare chiaramente a un certo livello di inesperienza dei radiologi che però compensano all'esame successivo. Tra l'altro, non è detto necessariamente che siano dei radiologi più giovani rispetto agli anni precedenti. È invece probabile che siano dei radiologi meno dedicati.
Mi permetto di segnalare che forse, in questo studio, avrei inserito un quarto indicatore, cioè un indicatore di biopsie. I dati mostrano chiaramente che è aumentato il tasso di richiamo al primo screening ma non la prevalenza diagnosticata di malattia, che in Italia è sostanzialmente stabile. Per conseguenza, diminuisce il valore predittivo positivo della mammografia. Sono però dell’opinione che il valore predittivo positivo delle biopsie non sia diminuito, perché i centri di screening fanno un lavoro multidisciplinare che è diventato estremamente raffinato. In Emilia-Romagna, per esempio, ogni dieci donne sottoposte a biopsia nove hanno un cancro, cioè biopsia e cancro quasi si equivalgono. Questo significa che se non aumenta la prevalenza di malattia, non aumenta nemmeno il numero di biopsie. In ultima analisi, l’inesperienza dei radiologi ricade solo sul primo livello dello screening cioè sui richiami e sul volume di approfondimenti, ma non sulle biopsie eseguite.
Un’altra puntualizzazione che si deve fare è che occorre un minimo di prudenza riguardo al dato dell’aumento del recall rate, perché in Italia i dati di precedenti studi indicavano che c'era una relazione inversa tra il tasso di richiamo e quello che una volta si indicava come tasso di “early rescreen”. In Emilia-Romagna, per esempio, erano presenti dei centri di screening locali con un tasso di richiamo molto basso e un tasso di “early rescreen” molto alto. Questi centri non richiamavano molte donne per effettuare degli approfondimenti diagnostici, ma ne reinvitavano molte per una nuova mammografia di screening dopo 12 mesi anziché 24. Questo parametro però non rientra nello scope dell’Ons, probabilmente perché è un fenomeno difficile da registrare in maniera sintetica.
Ritornando agli indicatori di performance del Sud, sarebbe opportuno considerare anche lo screening spontaneo che, come dimostrato dai dati dell’indagine Passi, è fortemente presente. Penso che il basso tasso di risposta delle donne agli inviti, più che segnalare un problema di tipo socioeconomico ed educativo, sia legato a una questione di sfiducia delle donne nel Sistema sanitario nazionale delle Regioni del Sud. Questo è un aspetto estremamente importante, perché le donne del Sud non aderenti all'invito pubblico eseguono lo screening in sede opportunistica e spontanea. Questo aspetto andrebbe esplorato meglio.
Infine, vorrei soffermarmi su alcune interessanti osservazioni riportate nello studio e che riguardano le singole Regioni. Le Province autonome di Bolzano e Trento presentano performance ottime e in miglioramento, e sottolineerei che Trento è l'unica realtà italiana in cui la tomosintesi è il test di base. Questo dato rappresenta uno sguardo sul mondo reale interessante per l’attualità di questa tematica. La Toscana e il Veneto hanno una performance complessiva buona così come la Liguria e la Lombardia, che negli ultimi anni hanno fatto degli sforzi notevoli per migliorare i programmi di screening. La Liguria, in particolare, era una realtà depressa per lo screening mammografico nell’Italia del nord. Oggi non lo è più, come è dimostrato anche da questa indagine. Vorrei aggiungere che le Regioni dovrebbero darsi come obiettivo anche quello di non abbassare il livello degli indicatori di performance, come è il caso dell’Umbria che sembra mostrare una performance declinante, e mantenere il livello raggiunto.
Infine, per il Sud andrebbe considerato anche lo screening mammografico spontaneo che, come per quello cervicale, andrebbe affrontato nell’ottica della reingegnerizzazione della prevenzione individuale spontanea. In altre parole, sarebbe prioritario non porsi l'obiettivo di sostituire lo screening spontaneo con quello organizzato ma preoccuparsi, prima di tutto, di capire se lo screening spontaneo sia di qualità o meno. Personalmente, non sono convinto che la mammografia spontanea sia a priori da deprecare, lo è soltanto se è di cattiva qualità. Quello che importa è che le donne che fanno la mammografia nel privato siano protette, cioè che la qualità dell’esame sia buona. Questo è un aspetto importante. In altri Paesi, per esempio, lo screening spontaneo cervicale è molto diffuso e, per questa ragione, sono stati creati dei grandi archivi dove confluiscono i risultati di tutti i pap test, sia pubblici sia privati, e vengono tutti sottoposti allo stesso tipo di valutazione. In sostanza, non è ammissibile che non si sappia nulla della qualità degli screening spontanei, e quindi bisognerebbe cercare di capire come stabilire dei rapporti con i centri di screening privati.

A conclusione dell’intervista, chiediamo a Francesca Battista e Lauro Bucchi quali sono le prospettive future dei programmi di screening del cancro al seno nel nostro Paese e cosa ne pensate per esempio della tomosintesi mammaria digitale e della stratificazione del rischio?
Lauro Bucchi: Allo stato attuale credo che si possa continuare a essere prudenti. Probabilmente la tomosintesi mammaria digitale va inserita in un quadro più generale di diversificazione dell'offerta che può implicare anche l’utilizzo della stratificazione del rischio. La tomosintesi è parte del mosaico di domani, e sono convinto che avrà un ruolo nello screening mammografico ma quale possa essere è ancora prematuro dirlo. Ritengo che sia importante e necessario affidarci alla ricerca e sottolineo che si dovrebbe anche valutare e comprendere se i servizi di screening locali hanno la forza di reggere l'impatto di una procedura che è oggettivamente molto più difficile da gestire. Penso che su questo aspetto non ci sia sufficiente attenzione.
Francesca Battisti: Sono d'accordo, sicuramente in una logica che sarà sempre più stringente di stratificazione del rischio, la tomosintesi mammaria potrà presumibilmente inserirsi, anche perché l’andamento per tutti gli screening è quello di andare verso un maggiore “tailoring” o profilazione. Ispro, tra l’altro, è uno dei centri che sta partecipando al trial europeo MyPebs che ha l'obiettivo di studiare una modalità erogativa dello screening basato sulla stratificazione del rischio delle partecipanti attraverso l'integrazione di una serie di fattori di rischio,proponendo una conseguente modifica del percorso dello screening in relazione al rischio indviduale a cinque anni di sviluppare un tumore al seno. Questo progetto rappresenterà sicuramente una pietra miliare dal punto di vista della valutazione della percorribilità di questa strategia. Come diceva giustamente Lauro, è necessario agire con prudenza e valutare attentamente l’effettiva fattibilità di un percorso organizzativamente complesso. La ricerca deve senz'altro andare avanti ed essere sostenuta, continuando a raccogliere dati, analizzarli integrando anche delle valutazioni di contesto.


Figure 1: Recall rate (RR) versus Positive predictive value (PPV) by macro-area; Detection rate (DR) shown as isobars. 


A. First round
 

 

 

B. Subsequent rounds

 

 

Per approfondire:

  9 maggio 2023