La macchina dello screening di fronte all’emergenza

L’epidemia di Covid-19, la malattia da nuovo coronavirus (SARS-CoV-2), sta imponendo una riorganizzazione progressiva dei sistemi sanitari regionali in Italia. Come noto, tale impatto è legato a diversi fattori, primi fra tutti la diffusione del virus fra la popolazione e la risposta delle strutture sanitarie, che devono far fronte a livello di personale, logistica e ridefinizione dei servizi alle esigenze emergenti. Inevitabilmente, tutto questo ha delle ripercussioni anche sui programmi di screening oncologico.

Si stanno succedendo in questi giorni varie delibere regionali, mettendo in evidenza come tale riorganizzazione stia avvenendo con gradi diversi rispetto alla centralizzazione delle decisioni e all’omogeneità territoriale delle scelte prese.

Alcune riflessioni appaiono dunque fondamentali per poter ripensare in maniera coerente la funzione dello screening in un contesto emergenziale.

Per il Direttore dell’Osservatorio nazionale screening, Marco Zappa, “bisogna considerare per prima cosa il valore strutturale dei programmi di screening all’interno delle politiche sanitare regionali. Questo significa che le decisioni sulla chiusura transitoria o meno dei programmi di screening non possono che essere coordinate a livello Regionale. Inoltre, la valutazione sulla sospensione delle attività di screening deve rientrare all’interno di scelte per attività sanitarie omogenee, per cui la decisione deve essere comune per tutti i servizi ambulatoriali a parità di rilevanza e possibilità di gestione del rischio. Infine, nel caso si debba operare una riduzione delle attività di screening conviene decisamente ridurre i test di screening ma portare a compimento l'iter diagnostico delle persone positive al test di base”.

Un quadro decisionale il più possibile coerente e omogeneo, a livello sia di distribuzione geografica sia di prestazioni sanitarie offerte ai cittadini, è dunque necessario per poter continuare a gestire i programmi di screening con consapevolezza durante l’emergenza, e per poterne riprendere le fila una volta che la fase di crisi sarà passata. Per questo non si può rimandare una riflessione su quali siano i criteri di rilevanza e possibilità di gestione del rischio in base ai quali ridefinire il servizio.

Per i programmi di screening esiste già un paradigma che classicamente serve a testarne la tenuta, ed è quello definito dai princìpi di Wilson e Jungner. Secondo Silvia Deandrea, epidemiologa, è necessario capire come questi princìpi si possano declinare alla luce delle caratteristiche di trasmissibilità di Covid-19 e degli impatti organizzativi di questa emergenza. I decisori dovrebbero partire dalla domanda: in questo frangente, è possibile garantire il rispetto dei requisiti fondamentali dei programmi di screening o è necessario procedere a una ridefinizione delle priorità?

In particolare, la fase emergenziale può mettere in discussione: la rilevanza del problema di salute per cui si effettua lo screening a livello di individuo e di comunità, la sicurezza dell’esame, l’adeguatezza della presa in carico e la garanzia che l’intervento comporti un rischio inferiore al beneficio.

In questo contesto la sicurezza riguarda sia gli operatori che i cittadini. Bisogna valutare che la logistica dei centri screening consenta il rispetto del numero massimo di presenze consentite in sala d’aspetto, il mantenimento della distanza di sicurezza fra persone e il rispetto delle indicazioni sulla sicurezza anche durante lo svolgimento dell’esame. È necessario anche che il personale abbia a disposizione e possa eventualmente ricorrere ai dispositivi di protezione individuale idonei alle circostanze.

Inoltre, una delle condizioni su cui si basa l’effettivo funzionamento di un programma di screening è che ci sia la possibilità di trattare in modo tempestivo tutti i casi positivi individuati, condizione che in alcune realtà può essere messa in discussione dalle necessità delle strutture sanitarie in emergenza.

Infine, affinché la complessa organizzazione dello screening possa funzionare, è necessario valutare che ci sia personale sufficiente nelle diverse attività gestionali, come l’invio delle lettere di invito per il rispetto dell’intervallo di round e, come accade in alcuni centri, la comunicazione dell’esito positivo. Può accadere, infatti, che nelle Regioni in cui questa attività è all’interno dei Dipartimenti di prevenzione, gli operatori che ne abbiano le competenze vengano impiegati in attività legate all’emergenza coronavirus (ricerche epidemiologiche, numero verde, controllo sulle anagrafi…).

A seconda dello scenario specifico che l’epidemia di Covid-19 sta definendo, va dunque considerato quali siano gli impatti organizzativi in senso ampio e se persistano o meno le condizioni basilari per continuare a fornire il servizio di screening e a quali condizioni.

È importante sottolineare che in una situazione di rischio, sempre caratterizzata da una processualità in cui in cui il tempo è valore discernente, anche le realtà in cui l’epidemia sembra ristretta a numeri esigui devono avviare un’analisi proattiva del rischio che vada a definire i possibili scenari di sviluppo dell’emergenza e permetta di pianificare azioni mirate da mettere in campo tempestivamente.

di Redazione

10 marzo 2020