Quale futuro per lo screening mammografico disegnano i dati Passi

Marco Petrella - Ausl 2 Umbria

Il futuro ha un cuore antico
Mia suocera nel corso di una partita di Burraco

13 maggio 2014  - Si può cogliere da qualche anno a questa parte un atteggiamento etico nei confronti dei problemi della sanità meridionale, sostenuto da una parte da chi a questo punto chiede che le regioni del sud si prendano le loro responsabilità, e dall’altra da chi cavalca un certo giustificazionismo che tende ad addossare colpe storiche a quella parte del nord che ha gestito le fasi della unificazione.

Io credo che a noi tocchi invece ipotizzare e se possibile testare i nessi tra cause e conseguenze, con lo scopo di individuare possibili rimedi. L’idea da cui parto è che se uno ha intrapreso in ritardo una strada una ragione ci sarà (e su questa lascio l’indagine a chi può indagare il complesso intreccio tra ambiente e strutture sociali che ha generato le tante differenze osservabili tra le civiltà che si sono sviluppate su questo pianeta (1)), ma che poi la strada che percorrerà si dimostrerà diversa in qualche modo da quella percorsa da chi l’ha imboccata in precedenza.

Avendo quindi bisogno di orientarmi sulla situazione delle regioni meridionali rispetto allo screening mammografico, la scelta strategica dell’Ons di utilizzare il Sistema di Sorveglianza Passi come fonte di dati che integrano quelli provenienti dai programmi di screening si è confermata ancora come una scelta lungimirante.

Alle pagine 33 e 34 dell’ultimo Rapporto Ons sui Programmi di Screening in Italia(http://www.osservatorionazionalescreening.it/sites/default/files/allegat... ), si possono trovare due semplici grafici sui quali vale ancora una volta la pena di soffermarsi, tenendo presenti le rigorose note metodologiche che spiegano come sono stati individuati gli esami mammografici effettuati dentro e fuori dai programmi di screening.

Questo primo grafico è già stato utilizzato come base per mostrare a tutti che una maggiore copertura mammografica si raggiunge solo con lo screening organizzato. In tutte e tre le grandi aree geografiche in cui viene normalmente suddiviso il paese l’equilibrio tra domanda e offerta di esami mammografici fuori screening porta a raggiungere circa un quinto della popolazione bersaglio. Solo l’apporto dello screening organizzato permette di raggiungere e superare l’80% di copertura complessiva.

E’ questa osservazione che ha permesso di dire che l’unica arma per una più equa opportunità di screening sul territorio nazionale è la diffusione degli screening organizzati. Non commento qui nel dettaglio altre importanti informazioni che il Passi ha apportato, dimostrando che anche le differenze di accesso per fattori socioeconomici e nazionalità vengono attenuate nelle popolazioni raggiunte dagli screening organizzati (vedi l’intervento di Nicoletta Bertozzi (http://www.osservatorionazionalescreening.it/sites/default/files/allegat... ).

Solo che tutto ciò è ormai storia pluriennale. Quale peso questa storia può avere sul futuro degli screening mammografici nelle diverse regioni? Il secondo grafico ci permette di fare alcune ipotesi, ovviamente aggiungendo, nel dettaglio per Regione, elementi di complessità e altri di non immediata interpretabilità.

Quindi proviamo a guardare al futuro. Le regioni dove il successo dello screening organizzato si associa ad una forte compressione del ricorso alle mammografie fuori screening hanno probabilmente messo le basi per controllare gli sviluppi futuri dello screening all’interno di una logica di sanità pubblica e di sperimentazioni controllate. Sono l’Emilia-Romagna, la PA di Trento, la Toscana, l’Umbria, il Piemonte, la Valle d’Aosta e, unica tra le regioni meridionale, la Basilicata. In queste regioni l’ampliamento delle classi d’età, i percorsi per il rischio eredo-familiare, l’introduzione di nuove tecnologie, potranno essere governati tutelando rigore scientifico, equità, sostenibilità e livelli di partecipazione.

Tutte le altre Regioni del centro-nord che raggiungono o superano la copertura media nazionale, ma con una quota di fuori screening intorno al 20% (e c’è chi arriva al 34%), potrebbero incontrare difficoltà proporzionali al peso rappresentato da donne e professionisti oramai da tempo abituati a percorsi più aggressivi, costosi e meno valutabili. Questo potrà distogliere risorse dallo screening organizzato e minare anche l’attuale livello di copertura.

Infine, quasi tutte le regioni meridionali, che non hanno attivato efficacemente screening organizzati e raggiungono basse coperture malgrado la forte presenza delle mammografie fuori screening, rischiano di vedere aumentare la distanza con il resto d’Italia, scontando a lungo il peso degli inizi incerti e contraddittori ed essendo intralciate da portatori di interessi contrapposti allo screening, dentro e fuori del sistema sanitario. Inoltre, il contesto socio-economico sfavorevole e i limiti nel sistema delle cure distrarranno le donne dal sostenere con forza e fiducia sufficiente la richiesta di prevenzione.

Si tratta di dati e ragionamenti in parte già noti, ma purtroppo, in quanto ancora attuali a distanza di alcuni anni, resta importante ragionare su quali potenti fattori hanno determinato queste differenze ed è ragionevole prendere atto che esse tenderanno ad auto confermarsi e alimentarsi.

E’ con questa consapevolezza che vanno individuati fattori di cambiamento adatti alla specifica fase di sviluppo che le diverse aree del paese attraversano, anche ammettendo che alcune differenze (inter-regionali ma anche intra-regionali a volte) possano essere accettate e utilizzate, più che rigidamente additate come fuori dalle linee guida.

Nel frattempo possiamo apprezzare una epidemiologia degli screening che sa integrare diversi approcci e fornire dati utili per capire e provare a cambiare.

(1) Jared Diamond - Guns, Germs and Steel: The Fates of Human Societies -